IRAN in solitaria

TRA LA GENTE DELL’ANTICA PERSIA

far benzina è un attimo, ma lasciare il distributore..

Era l’agosto del 1997, quando dai camini di fata della Cappadocia guardavo incuriosito verso est, mentre qualcuno mi diceva che la Turchia, quella vera, iniziava lì, dalle parti del Nemrut Dagj; territori aspri e desertici, chiamati Kurdistan, preludio o estremità settentrionale di quella grande civiltà che fu l’antica Persia, la culla della Mesopotamia, una delle poche alternative all’impero romano. Oggi da quelle parti ci sono Iran e Iraq, paesi che non hanno nessuna voglia di aprirsi al turismo, e proprio per questo interessanti da comprendere e visitare. Soprattutto per quella benedetta e apparente voglia di farsi del male chiamata islam, per capire il perché e il percome si debba pregare cinque volte al giorno, andare in giro travestiti da apicoltori o, peggio, si debba restare forzatamente chiusi in casa.

Andarci senza prenotare è possibile, basta volerlo veramente, armarsi di pazienza, far finta di niente quando ti dicono che sei matto e partire qualche mese prima coi preparativi.

Fatto sta che quando l’MFA (ministery of foreigns affairs) di Teheran, dopo averci pensato a lungo, ha comunicato con grande magnanimità la propria decisione di “accettarmi” come visitatore del territorio, ho fatto salti di gioia, visti i problemi che mi avevano creato le agenzie italiane, prima, e quelle iraniane, poi, e il 23 luglio son partito direzione sud est (anzi nord est, visto che da Bologna l’ho fatta tutta via terra) con le uniche due certezze di andare a vivere una “calda” avventura e di essermi dimenticato qualcosa (quest’ultima non manca mai) sperando di scoprire presto cosa.

Delle repubbliche della ex-jugoslavia (Slovenia, Croazia, Bosnia e Serbia) ricordo solo l’alto costo delle autostrade (come da noi), ma d’altronde nelle tappe di trasferimento guardi più avanti che di lato, e la mia mente si perde nei vacui pensieri e nelle tante riflessioni portate avanti tutte insieme, sicché quando cerco di capire cosa sto pensando mi rendo conto che ho del casino in testa, e lo lascio andare tranquillamente avanti per vedere dove va a finire.

Della Bulgaria invece ho avuto un’ottima impressione, tanto che al ritorno mi fermerò a visitare Sòfia e mi riprometterò di girare tutto il paese in un prossimo viaggio.

Appena in Turchia ecco che mi si presenta subito la realtà dell’asia in tutta la sua interezza. Strade a dorso di mulo, asfalto mangiagomme e veicoli che vanno troppo forte, soprattutto i camion e i pullman. Sono ancora in Tracia quando, dietro a un pullman, la strisciolina che vedo in mezzo alla mia corsia mi sembra un po’ troppo lucida, per essere solo asfalto; la tragica conferma quando la striscia occupa di colpo tutta la corsia, e con un piede mi rendo conto di essere sull’olio. Pregando che il pullman non freni, senza muovere un muscolo ci metto mezzo kilometro a spostarmi “di testa” a destra sullo sterrato, dove la terra mi asciuga le ruote, e dove mi fermo giusto davanti a un camion sotto il quale finisce l’olio, e sotto il quale c’è un uomo tutto lucido e nero che armeggia con chiavi inglesi e lattine varie. Mi è andata bene!

farmacia da viaggio
sassolini al posto dell’asfalto
asfalto mangiagomme
traghetto sull’eufrate

Poi, il nemrut dagj , primo grande obiettivo di questo motoviaggio. In effetti l’est della turchia è molto diverso dall’ovest: è meno trafficato, meno coltivato, più selvaggio. E infatti la gente è mooolto più ospitale: i curdi sono veramente diversi dagli altri, anche dagli iraniani. Ogni volta che ti fermi si avvicinano senza timore ma con discrezione, guardano ma non toccano, e dopo un paio di domande finiscono sempre per offrirti il tè ( Chay). A Diyarbakir il termometrino che ho sulla moto va a fondo corsa (+ 48°), il caldo è massacrante, la mia visiera mi sembra la porta del forno quando guardo la cottura delle patatine, senza dubbio è meglio tenerla chiusa, perché aperta vuol dire un soffione di aria bollente in faccia. Mi devo fermare a ogni distributore, ogni 30 km circa, per immergere il sottocasco e il foulard nell’acqua, e riuscire a continuare il viaggio, fino a quando anche i distributori hanno solo acqua calda. In seguito, non hanno neanche più l’acqua per cui devo proseguire. Mi fermo un attimo, alzo gli occhi, vedo un cartello e son convinto di avere le allucinazioni: parla di Batman, e del mago Silvan… sono completamente fuso

inarrivabile in moto il Nemrut dagi
nemrut dagi
allucinazioni

Sto rischiando troppo, il colpo di sole, mi fermo da Mehmed e da Faysel , mantengo a fatica l’equilibrio nel parcheggiare la moto all’ombra; mi portano nella loro casupola e accendono il condizionatore per me. Poi telefonano e arriva gente, saluti e scambi di mani, salamelec salamelec. Poi fuori il chay, poi le paglie. Ora è il turno delle foto, io con loro, io da solo, loro e la moto. Gliele devo spedire, obbligatorio. Vuol venire in Italia, Mehmed, me lo chiede tre volte anche se parliamo a gesti. Ho con me un vocabolarietto di turco, anche un’intesa su una sola parola fa miracoli. Alla fine tirano fuori il melone. Non m’è mai piaciuto il melone, ma giuro che così buono non l’avevo mai mangiato. Poi vogliono che dorma da loro, io non voglio, anche perché la notte precedente ho “non dormito” su un materasso che scottava (mai visto). Allora chiamano uno che dice di saper l’inglese, e che m’invita anche lui a casa sua. No grazie, e via on the road. Episodi così per tutto il giorno, è dura ma è bellissimo, son qui per questo a dir il vero

vuol venire in Italia
ospitalità in area di servizio

Poi finalmente la mitica Dougubayazit, con il biblico monte Ararat e l’Ishak pasha Saray, secondo obiettivo del mio viaggio, che si conferma bellissimo. Da queste parti i controlli del passaporto sono frequenti, siamo al confine con l’Iran, mica bau bau micio micio.

Ararat con nubi
Ararat senza nubi
Ishak Pasha Saray

La frontiera iraniana si rivela meno difficile del previsto: 2 ore per l’uscita dalla turchia e 1 ora per entrare in Iran, schivando (anzi, sfruttando) i furbi che cambiano in nero. Questi sono abilissimi a dirti che non c’è una banca, e quando la trovi perché sai che c’è, a dirti che non cambia altro che dollari, e quando dici loro che lo sapevi e hai con te i dollari, a farsi promettere che al ritorno cambierai da loro. E’ brava gente, fanno il loro lavoro, sei tu che devi andar là preparato.

Ingresso in Iran

L’Iran mi accoglie con dei tombini profondi come pozzi artesiani. Per dare un tocco di rischio quando non ce n’è bisogno arrivo in frontiera quasi in riserva, anche perché la benzina in Turchia costa l’equivalente di € 1.6, cioè il 30 per cento in più che in Italia. “Vargi”, mi dicono i turchi (tasse), ma l’anno scorso costava la metà. Far benzina in Iran è come comprar le caramelle, i distributori sono pochissimi e tutti sono in coda ma ci mettono un secondo, io che sono abituato alla mega sosta e a segnarmi tutto capisco che devo cambiar registro, ma almeno vorrei essere sicuro di non metterci del gasolio, visto che le pompe son tutte uguali.. per fortuna ho con me un vocabolarietto di italiano-persiano (l’unico esemplare nella più grande libreria di Bologna) che mi dice che benzina si dice “bensin” e gasolio “gazoil”, mentre tutte le altre parole sono puntini e lineette, e poi la vera libidine è riempire il serbatoio con poco più di 1 euro.

tombini artesiani

In giro è pieno di uomini e di bambini, quest’ultimi tantissimi, sia gli uni che gli altri intenti a non fare assolutamente nulla; si siedono su minuscoli sgabelli e poggiano tè e sigarette su un minuscolo tavolino, poi cominciano a guardare . Donne, pochissime, nella proporzione di 1 ogni 50 maschi, e tutte naturalmente allineate e soprattutto coperte, come religion comanda.

12 secondi dopo essermi fermato (dietro c’è la moto)

Non ho mai, e non l’avrò mai per tutta la durata della vacanza, la sensazione di essere in pericolo, né io né la moto, che spesso dorme all’aperto. Certo, una volta sì e una no la mattina mi trovo pulsanti spostati, pedivelle abbassate e acceleratore a mano tirato, ma nulla più. A Tabriz pago 3.16 euro per dormire in una bettola , e visito Kandovan , la cappadocia iraniana. E’ bellissima, la differenza con la cappadocia è che le case di tufo incastonate nella roccia qui sono ancora abitate. I turisti ci sono, ma sono solo locali; una ragazza iraniana si avvicina e mi chiede da dove vengo. Poi scappa dalle sue amiche a ridere. Poi torna, e mi fa qualche domanda, soprattutto le interessa sapere cosa ne penso degli iraniani. Alla fine mi ringraziano, e di che? penso io, grazie a voi.

albergo a Tabriz, la stanza è questa
Kandovan
Kandovan

Svalicare la catena caucasica per andare sul Mar Caspio invece si rivela più difficile del previsto: quando inizia lo sterrato non c’è mai nessuno e sei in mezzo al nulla, ma dopo 20 km di strada bianca trovo un dottore che nel bel mezzo di un guado di un fiumiciattolo sta “facendo lavare” la macchina alla sua famiglia . Mi dice che 5 km dopo finisce lo sterrato, e gli ultimi 200 km sono su strada asfaltata. Meno male che me l’ha detto.

verso il mar Caspio
autolavaggio… naturale

Masouleh è una cittadella turistica ben conscia di esserlo; l’Unesco è arrivata anche qui (come dappertutto, direi). Le case sono costruite in una pendenza allucinante, spesso il tetto di una è il pavimento dell’altra; è bello passeggiare nel mercatino, dove spicca non so come un samovar , che in effetti, pur essendo di origine russa, in un paese dove è necessario mantenere una scorta di tè caldo tutto il giorno ci sta a pennello.

Masouleh
pista carriolabile
Mercatino
Samovar
bimbo

A Teheran decido di non passare, su consiglio dell’amico Italo, che c’è già stato, e della Lonely Planet, che conferma che a parte il traffico caotico non c’è nulla da vedere. Ma attraversarla per continuare la marcia verso sud est è tutt’altro che facile… a proposito del traffico: è semplicemente assurdo. Fuori dai grossi centri ci sono troppi mezzi che fanno i 20, stracarichi, che vengono superati da tutti; i camion e i pullman si mettono in corsia di sorpasso e stan lì finché non finiscono di superare; ho visto uscire in sorpasso autotreni poco prima di una curva cieca un sacco di volte, e non farsi problemi se dall’altra parte all’improvviso sbuca qualcuno… alla fine la magia fa sì che tutto si risolva bene, spostati un po’ sullo sterrato tu che mi schiaccio io, sperando che il veicolo sorpassato si butti a destra, e incredibilmente va tutto a posto da solo. Beh, mica sempre: 22.000 morti all’anno per incidenti stradali, mi confida un iraniano con cui mi sono lamentato, a fronte di una popolazione di circa 55.000.000 di persone (In Italia sono circa 2.000 i morti all’anno x incidenti su strada). In queste condizioni la motocicletta è un moscerino, ma senza ali per scappar via, senza europe assistance, e con un carnet de passage sul collo che mi ricorda sempre di andar piano.

In città suonano tutti, ma dico proprio tutti, a tal punto che nessuno ci fa caso, e diventa una musica di sottofondo cui ci si deve abituare. Il motivo principale è che oltre ai tassisti ufficiali chiunque può farlo, se ha tempo (e a loro non manca mai); inoltre per limitare gli incidenti ogni comune ai lati di ogni strada tra corsie e marciapiedi ha scavato dei fossati profondi 60 cm e larghi 50, vuoti, che se ci finisce dentro con le ruote ci resta anche un pullman. Per cui succede che appena scavalchi queste voragini per attraversare la strada, le macchine che passano, se non sono strapiene, cominciano a suonarti per chiederti se vuoi un passaggio (a pagamento), inchiodano, non mettono frecce, bloccano tutti, e via così.

Le macchine sono al 70% delle Paykan 1600 i.e. , marca di produzione iraniana, tutte assolutamente bianche. A volte mi pareva di essere in un videogioco, intorno a me tutte automobili incredibilmente identiche, sensazione strana. Poi ci sono parecchie Kia Pride, e qualche peugeot, unica azienda europea che riesce a vendere del nuovo in Iran. Nient’altro

paykan front
Paykan rear

Qom è la seconda città santa dell’Iran, dopo Mashad, ed anche la città natìa di Komeini. La moschea è grande e aperta solo ai musulmani, e mi diverto di più a passeggiare nell’ex letto del fiume, ora asfaltato e trasformato in mercatino cittadino , e a cercare di fotografare le donne iraniane intente a discutere sui prodotti da acquistare, proprio come in un nostro qualunque mercato cittadino .

Qom
Qom
Qom mercato
Qom mercato
Qom mercato – vendita uccelli

A Kashan è bello passeggiare nel Bazar, il mercato coperto, “vasto abbastanza da sorprendere ma non da perdersi, è un posto fantastico da girare per un paio d’ore la mattina”, recita la LP, e così ho fatto; vendono tutti le stesse cose, ma ogni negozio è diverso da quello a fianco, mi piace vedere come sfruttano gli spazi e mi piace la loro discrezione nel non assillarti per farti comprare la mercanzia, al contrario di alcuni Suq tipo quello di Tunisi o quello di Istanbul. Le case hanno tutte due battacchi, uno a forma di anello e uno di bastone: producono due suoni diversi, e in una civiltà dove uomini e donne sono considerati agli antipodi, è molto importante sapere quale sesso bussa alla porta, e quindi chi mandare ad aprire

mercato coperto
battacchi divisi per sesso

A Shiraz invece il bazar è altrettanto interessante, ma chissà perché ci passano coi motorini, ovviamente a manetta in mezzo alle persone

Il caldo è sempre massacrante, bevo circa 6 lt d’acqua al giorno ma non sudo; mangio poco o niente perché non ho fame. Insomma alla fine sto bene, ho solo dovuto modificare la mia alimentazione. Gunther (il mio R 1100 GS), dal canto suo, mi guarda dall’alto dei suoi 173.000 km e continua a portarmi a spasso senza il benché minimo problema, come sempre. Mi son portato anche dell’additivo per la benzina, ma per ora non mi serve. Quelle poche volte che ho avuto bisogno di spalancare il gas batte leggermente in testa, ma non vedo il motivo di farlo.

aureola protettiva
meccanici nel nulla

Decido di saltare tutta la parte del deserto (il progetto in partenza prevedeva di arrivare fino al confine afgano), anche perché leggo sulla LP che Garmeh, antichissimo villaggio di 200 persone + 1 hotel che si trova al centro di un’oasi in pieno deserto, è “chiusa per caldo”. Non me n’ero accorto prima ma capisco benissimo il perché!

Kerman, Bam semidistrutta dal terremoto, e “Bandar e Abbas” sul golfo persico, sono troppo calde per andarci, sarà per un’altra volta.

Persepoli è un sito di un valore storico immenso: lì i re achemenidi (Dario e Serse i più importanti) ospitavano le delegazioni straniere amiche e sottomesse che venivano a pagare i tributi e assicurare la lealtà ai loro sovrani; purtroppo di intatto c’è rimasto ben poco, ma solo la maestosità della porta d’ingresso mi fa immaginare come dovevano essere le celebrazioni. A dir la verità però mi ha incuriosito molto di più Naqs-e-rostam , il sito lì vicino, dove a 20 mt d’altezza ci sono, scavate completamente nella roccia, quattro tombe una a fianco all’altra che mi ricordano vagamente al-Khaznah, il tesoro, la prima tomba che si vede visitando Petra, in Giordania.

A Pasargade, non mi perdo la tomba, oserei dire il mausoleo, di Ciro il Grande

persepoli
Persepoli
Persepoli
Naqsh e Rostam – tombe nella roccia
Naqsh e Rostam
Pasargade

Shiraz invece è la città che mi ha affascinato di più. Fotografare la tomba del più grande poeta iraniano, Hafez , è un problema, sono 232 anni che gli iraniani vengono in pellegrinaggio ininterrotto a baciare la tomba del loro paladino, morto nel 1389. “Spesso ci ritroviamo nei suoi versi”, mi dice un iraniano venuto in aereo da Teheran con la famiglia, e spesso ci servono per superare momenti difficili. “Where are you coming from?” è la frase che sento più spesso, da ragazzini o adulti, e c’è sempre quello che non sai perché ma ti racconta la sua vita. Nel cortile del mausoleo di Shah-e-Cheragh assisto non visto a riti sciiti di preghiera. Devozione totale, la povertà impone speranza, capirò dopo. Ad un internet point riesco finalmente a parlare con una ragazza, evidentemente più emancipata delle altre, che conosce l’inglese e che ha delle sopracciglia che partono da un’orecchio e finiscono a quell’altro. Le chiedo se è contenta di dover vivere chiusa in casa e di dover andare in giro sempre coperta. Mi risponde che da qualche anno non sono più così convinte di vivere così, ma i genitori e il governo impongono loro di continuare. Ma prima che cambi qualcosa ci vorrà molto tempo, si trova la conferma nelle recenti elezioni, in cui ha nuovamente prevalso un ultra conservatore. Fa la traduttrice, e poi lavora lì all’internet point, mi chiede di spedirle dei libri per bambini in inglese, che li vuole tradurre in iraniano: farò quello che posso. Mi rendo conto che fondamentalmente questa gente è povera ma fa poco per cambiare la propria condizione difficile; il governo tiene la popolazione nell’ignoranza per evitare insurrezioni interne o prese di coscienza pericolose, tanto che solo gli universitari provano a cambiare le condizioni, ma sono troppo pochi, così viene eletto un presidente filo komeinista che attua ancora l’impiccagione in piazza (storia recente). In queste condizioni la religione diventa viatico di speranza, e il paradosso diventa ora comprensibile: più essa è dura e aspra più si ha la speranza di una vita migliore.

Alba
Tomba di Hafez
Shiraz – torre pendente

Esfahan è la città più bella (dicono) e turistica (sicuramente) dell’Iran. La piazza Imam , seconda al mondo per grandezza (dopo Tien An Men) è meravigliosa con la moschea dell’Imam che da un lato si apre sulla piazza, ma poi tutto il resto dell’edificio è angolato di 45°, perché è in direzione della Mecca. Al contrario di tutto il resto del paese, qui i locali ti assillano in continuazione, vogliono vendere i loro carpets, sono abili mercanti ma insistenti come zanzare.

Esfahan – Piazza dell’Imam
Esfahan – refrigerio dei locali al ponte

Are you italien? Ma come fate a saperlo? Dal colore del retro di copertina della LP, che davanti è uguale per tutti ma dietro è arancione solo per la versione in lingua italiana. Non ho parole…

Al ritorno ripercorro i 500 km che separano Shiraz da Esfahan che avevo percorso 3 giorni prima, e trovo 3 incidenti mortali di autotreni ribaltati e lasciati lì con tutto il loro carico; tre giorni prima non c’era niente…

A Tabriz il prezzo dell’albergo è aumentato, ora sono 40.000 rials (3.64 euro); appena entro in stanza un topino fa capolino da un buco e scappa via. Uso le ciabatte che loro fanno sempre trovare in camera, per tappare i buchi nel muro, ma tutte le volte che mi capita d’alzarmi dal letto guardo a dove metto i piedi; sono animaletti che hanno paura dell’uomo, mi dico, e per fortuna non si farà più vedere.

In uscita dall’Iran trovo gli stessi uomini che volevano cambiare i soldi, ne posso far contento solo uno. Gli ufficiali mi chiedono cosa penso dell’Iran, mentre spero che non vedano la tanica di benzina piena che ho nascosto nel bauletto. Dopo un incontro con un francese prima e con un turco poi, che mi confermano che da luglio di quest’anno non serve più il visto dall’Italia per entrare in Georgia, la tentazione è troppo forte, dopo il confine prendo a destra anziché a sinistra e mi faccio un giro anche in questa ex repubblica socialista sovietica , dove niente è uguale a ciò che avevo visto finora.

una mucca vigila sugli ingressi a Batumi
Cara Georgia, teornerò a treovarti !

Il rientro in Italia si svolge in tutta calma, mano a mano migliorano le condizioni del viaggio, e visito Ani , fortezza al confine turco-armeno, e tutta la costa sud del Mar Nero, per cui Trabzon e Samsun.

Ani

Dopo aver mantenuto la promessa di fermarmi a Sofia, procedo spedito verso casa. Arrivato a Bologna mi accorgo che l’unico “meno” è alla voce peso: 5 kg in meno della partenza; per il resto le fotografie sono tante, ma stavolta pochi monumenti, moschee o minareti, bensì molti volti, bambini, uomini e qualche donna, a testimoniare qual è la vera bellezza di questo intrigante e controverso paese arabo

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